Settore sotto la lente: intervista all’architetto Massarotto
In quanto responsabile della Divisione Progetti di GCR – Gruppo Cerdisa Ricchetti, il marchio storico di Maranello in materia di ceramiche, l’architetto Roberta Massarotto ha espresso idee e condiviso esperienze in questa interessante intervista.
Richiamando in generale i progetti in cui si lavora insieme tra responsabili di diversi settori e di diverse aziende, come si riescono praticamente a coniugare le necessità di tutte le parti e a ragionare per raggiungere obiettivi comuni di realizzo degli interventi?
La domanda è interessante, perché richiama il mio ruolo di responsabile della Divisione Progetti in azienda. Il gruppo Cerdisa Ricchetti produce grès, è un marchio storico del comprensorio, con sede e laboratori a Maranello e altri stabilimenti in Europa. La Divisione è nata da quasi tre anni, con lo scopo di lavorare in due direzioni: la promozione tecnica, rivolta soprattutto a imprese e progettisti; lo sviluppo di sistemi applicativi.
La ceramica, in sé, vanta una rete di distribuzione e un mercato consolidati da molti anni; la società è una delle eccellenze italiane molto conosciuta nel settore. La ceramica come parte integrante in edilizia si adatta al segmento interior, agli ambienti umidi come le piscine e le aree wellness, alle facciate ventilate e incollate, ai pavimenti sopraelevati.
La collaborazione, per questo, è importante: l’intervento nostro per le ceramiche affianca la professionalità di altri che concorrono a realizzare il progetto completo. L’unione delle forze e delle competenze permette il risultato, valorizzando l’apporto di ciascuno. Il punto di partenza è sempre il progetto. Lo sviluppo, a livello di cantiere e di impresa, consegue. Noi forniamo il materiale come se fosse un vestito. Chi si occupa della costruzione della base e dell’impianto è meno visibile all’utente. Ma l’insieme è un lavoro di squadra che si avvale del contributo di tutti. Le scelte devono essere ovviamente condivise, gli interventi rispettivi devono procedere in contemporanea. Il coordinamento deve essere forte e orientato a realizzare le indicazioni del progettista.
Un’unione, quella tra Ricchetti Group e Tecnogivex del gruppo Giussani, che sembra funzionare particolarmente bene: l’uno fornisce piastrelle e l’altro le utilizza per i suoi sistemi di pavimento sopraelevato. Quali soluzioni tecniche ed estetiche avete trovato, e per quali problemi specifici, in uno degli ultimi interventi su cui avete lavorato, che ha riguardato gli uffici di una società di Rodengo Saiano nel Bresciano, la Ormac Zanon?
Il progetto della Ormac Zanon nasce dall’architetto Giancarlo Scalvini che, in questo caso, aveva già utilizzato più volte i sistemi sopraelevati. Ne conosceva i benefici e i vantaggi che se ne possono trarre. L’intervento, diversamente da altri, richiedeva tempi rapidi.
Interessava una palazzina risalente agli anni 1960-1970, fabbricata con tecniche costruttive dell’epoca, che ha sempre accolto gli uffici di questa società ma era diventata obsoleta, da un punto di vista funzionale ed estetico. Il marchio Ormac Zanon è molto conosciuto nel suo settore: si occupa di macchine operatrici per la cantieristica, ruspe, escavatori.
L’idea dell’architetto era migliorare in primo luogo la funzionalità del fabbricato, inserendo impianti non previsti nelle murature originarie. Nello stesso tempo, era necessaria un’immagine congruente all’importanza che la società ha acquisito, insieme allo sviluppo, negli ultimi anni. Le indicazioni erano chiare: un sistema a secco, che permettesse tempi rapidi di applicazione e disponesse di vani per accogliere gli impianti senza demolire i muri esistenti. Un altro tema tecnico riguardava gli spessori, altezze obbligate su cui non si poteva intervenire, per cui il pacchetto sopraelevato costituiva già la risposta in fase progettuale.
Ci siamo inseriti proponendo un materiale esteticamente efficace, che è il primo motivo per cui di solito ci coinvolgono. Inoltre, considerata la collaborazione che abbiamo instaurato con Tecnogivex da più di due anni, in particolare con il tecnico Alex Bertin, abbiamo sviluppato il progetto iniziando dalla richiesta introdotta dall’architetto, dovendo tuttavia insistere su tematiche di cantiere importanti. In quel caso, la ceramica ha fornito un’estetica congruente con l’idea architettonica: in altre parole, un profilo pulito e tecnico ma, nello stesso tempo, impreziosito da un calore percepibile.
In merito ai pavimenti sopraelevati con superfici in ceramica, ricordiamo che è un’idea che esiste da secoli: il fatto di staccare il pavimento, rispetto alla parte umida, era un approccio già impiegato dai Romani. Il sistema consente alla ceramica, intanto, di essere inserita in un concetto di posa a secco. Il parallelo per le pareti sono le facciate ventilate.
La ceramica è un materiale di lunga storia e, in tal modo, si reinventa in pacchetti molto tecnici, più rispondenti al cantiere contemporaneo, di cui il sopraelevato è sicuramente uno dei principali. Interessante per noi è la possibilità di introdurre questa superficie ceramica, inserita con sistemi sottostanti che hanno caratteristiche tecniche diverse in base all’uso. Il contesto dei sopraelevati, negli ultimi cento anni, è sempre stato il mondo degli uffici. In particolare da una ventina d’anni, in seguito all’introduzione della normativa italiana.
Un altro tema che si sviluppa per la ceramica, su cui stiamo lavorando per alcuni progetti e che io trovo particolarmente interessante, è il recupero. Non solo di fabbricati di architettura contemporanea del Novecento, come quello di Ormac Zanon, ma anche di quelli storici. Parliamo di spazi museali e simili. Intervenire senza dover demolire la pavimentazione preesistente, in tempi brevi, è importante. Creando i vani per i sistemi impiantistici che, ovviamente, sono indispensabili oggi in qualunque tipo di costruzione, ma spesso non trovano posto su strutture, soprattutto se antiche, magari con murature massive. Il sopraelevato, in questo senso, per la ceramica è di particolare interesse.
È un architetto e l’architettura ha una storia tanto lunga quanto eccezionale: dove ha trovato le radici della tecnica moderna che oggi applica nell’esercizio della sua professione? Quali elementi la ispirano e come è cambiata l’estetica, in base agli anni recenti e agli ambienti di riferimento, secondo la sua esperienza?
Il vestito ceramico è passato da materiali dal carattere più decorativo ad altri in cui la richiesta tecnica è sempre più importante. Gli sviluppi tecnici, in particolare negli ultimi anni, vanno in due direzioni: il mercato oggi dispone di superfici più prestazionali, riuscendo ad abbinare il concetto di antiscivolo con la piacevolezza al tatto e una facilità di uso e pulizia – idee che, fino a poco tempo fa, non erano praticabili insieme; inoltre si impone l’estetica, in quanto alla ceramica è tuttora richiesto – fortunatamente – di essere un elemento riconoscibile in quel senso.
In tempi recenti si lavora, in fase progettuale, su design via via più contemporanei: con colori spesso tenui e semplici, se la parte di arredo è preponderante; al contrario, con impatti più riconoscibili e più forti, se l’ambiente deve in qualche modo intervenire in qualità di guida. In definitiva, la ceramica introduce in architettura innumerevoli superfici e texture.
Facendo ancora riferimento alla collaborazione fra Ricchetti e Tecnogivex, come si gestisce l’analisi di un intervento al fine di individuare la migliore soluzione da proporre al cliente? Finire il lavoro in tempo, realizzare un progetto formulato insieme, è più facile intervenendo in due? Fatti i conti, esiste un valore aggiunto favorito da questo genere di condivisione? Forse ci si stimola a vicenda, si ottimizzano procedure, ci si confronta di più e si fruisce l’uno del contributo dell’altro?
È così che deve essere. Il concetto di collaborazione nasce proprio dal fatto che ognuno, nel mettere le sue capacità, deve confrontarsi con l’altro per arrivare al risultato. Laddove, invece, si crea una situazione di tensione e di scontro, significa che la collaborazione non funziona compiutamente.
L’ideale è lavorare insieme unendo le forze, trovando soluzioni adeguate a quello che si aspetta il cliente, che può essere l’architetto, ma anche l’impresa di costruzione o il committente, come nel caso di Ormac Zanon, che ha avuto un ruolo importante. Soprattutto, si devono affrontare assieme le tematiche e i problemi che sorgono nella normale pratica quotidiana. Da questo punto di vista, se la collaborazione funziona, lavorare in team è sicuramente meglio che con una sola testa.
Ritengo che sia una scelta operata dalle singole persone e realtà, a monte. Nel nostro caso, stiamo andando in questa direzione.
Ha di certo notato, fra le iniziative imprenditoriali nel settore edilizio, interesse crescente nella comunicazione, in particolare informando il pubblico, nei dettagli, di progetti di costruzione e/o di ristrutturazione: ha qualche spiegazione di questo fenomeno, che è piuttosto recente? Si tratta solo di promozione di tipo commerciale o esiste anche l’esigenza di elaborare e diffondere una nuova cultura in materia?
Io credo che ci sia la necessità di diffondere cultura, prima che informazione commerciale. Informazione commerciale che – intendiamoci – rimane fondamentale: vent’anni fa si interagiva in particolare con imprese, architetti e direttori dei lavori; in questo momento, invece, si incontrano utenti di qualsiasi tipo. Oggi parliamo spesso anche con i committenti: in altre parole, privati che fanno tutt’altro nella vita e non si occupano di edilizia. In compenso, si tratta di individui che intervengono, fanno domande e contattano direttamente le aziende. Indubbio che questo sia il frutto di nuovi canali di comunicazione: i social, Internet.
In conseguenza, le aziende devono adeguarsi. Intanto essendo presenti, perché in caso contrario non vengono individuate. Molti studi professionali non ricevono più materiale cartaceo ma online, in formati digitali da scaricare per importanti aggiornamenti.
In ogni modo la comunicazione pubblicitaria, fine a se stessa, ha le gambe corte. Introdurre insieme a quella, che è la base del lavoro, anche il concetto di comunicazione culturale e tecnica è l’ideale: il moltiplicarsi di utenti interessati impone, giustamente, che le informazioni siano condivise da tutti.
Ha un punto di osservazione privilegiato, in base alle competenze e all’esperienza del lavoro: quali crede che siano le sfide che il settore edilizio deve affrontare, in questo momento storico?
Il settore edilizio è sempre stato legato ad una certa tradizione del costruire: nei capitolati, è ancora corretto e sensato indicare che un’opera è fatta a regola d’arte. Alla regola d’arte, però, in questo momento storico si sono affiancate molte altre esigenze. Penso al nuovo sistema di progettazione BIM – Building Information Modeling, che richiede un concetto di progetto e di cantiere diverso rispetto a cosa si faceva vent’anni fa. Il mondo edile ha la necessità di adeguarsi a questo. Soprattutto, deve conformarsi alle normative e alle nuove richieste: di sostenibilità, di servizi impiantistici che si sono moltiplicati a dismisura.
Si aggiunge a questo un altro fatto: la manodopera specializzata è fortemente in calo. Quindi, sono benvenuti i sistemi più innovativi e contemporanei che suggeriscono l’industrializzazione del cantiere, la progettazione in ambito BIM, la gestione di un intervento che deve avere tempi certi, dove il recupero dei tempi, perché siano certi, a volte vale più di un euro in più o in meno speso su quintali di calcestruzzo.
Sicuramente il mondo edile sta cambiando, anche molto rapidamente: è un settore che sente anche una certa difficoltà ad adattarsi. Si è costretti ad aderire a questo cambiamento, tuttavia: è in gioco la sopravvivenza stessa di un sistema.
Se il mondo ceramico, per esempio, non avesse già da anni iniziato ad ascoltare le nuove esigenze e ad innovare, non credo che adesso il comprensorio italiano sarebbe ancora una delle eccellenze del Paese a livello mondiale. Sulla nostra azienda posso citare la Divisione Progetti di cui sono responsabile, che è stata voluta e pensata proprio per sostenere il passaggio dall’oggetto al sistema, inoltre al contatto con il mondo della progettazione, mettendosi in gioco.
È una necessità, più che una scelta di principio. Pure l’esigenza di accelerare sui temi della sostenibilità ambientale è un’esigenza di sopravvivenza. Si può scegliere se fare meglio o peggio, sì. Ma il punto è che si deve fare di necessità virtù. Questi modelli possono senz’altro costituire un’opportunità.
Non si può prescindere, in nessun campo, dall’aggiornamento professionale. Notevole apporto, in questo, forniscono i saloni espositivi e le fiere come il CERSAIE, l’appuntamento internazionale per le novità in tema di ceramiche, architettura e arredo bagno, nel quale è di recente stata impegnata. Quali notizie e nuove conoscenze ha portato nel suo quotidiano, nell’ufficio e nel cantiere, di ritorno da Bologna?
Quest’anno è stata una fiera dove i visitatori sono davvero cresciuti: non solo nel numero, ma anche nella qualità delle richieste. Abbiamo incontrato diversi utenti, già conosciuti e nuovi contatti, che hanno posto domande e lanciato sfide che guardano avanti.
Noi abbiamo presentato un’esposizione decisamente innovativa, dove è stato ricreato un ambiente particolare, di cui è possibile vedere la riproduzione sul nostro sito Internet. La mostra era pensata con due anime: da una parte i prodotti destinati al mondo della progettazione, con concept estetici avanzati, dedicati a materiali evocativi, immagini contemporanee ed astratte, colori di avanguardia; dall’altra i materiali più tradizionali, declinazioni di ciò che la ceramica esprime da qualche anno, con effetti-legno, pietra o di altre superfici, con l’applicazione inoltre di tecnologie decisamente efficaci dal punto di vista delle prestazioni. Devo dire che abbiamo notato un grande ritorno.
Dobbiamo considerare che il CERSAIE è una fiera che ha saputo evolvere: oltre all’esposizione, di cui quest’anno si celebrava il quarantennale, propone convegni e conferenze, sia su temi architettonici sia su quelli normativi, legislativi e di aggiornamento. Di conseguenza, il tipo di utenza che si incontra è sempre più esigente: ed è un bene, perché diventa uno stimolo per crescere.
Bisogna porsi sempre nuovi obiettivi, per progredire. Quali sono, a suo parere, le prospettive a cui mirare nell’attività edilizia e che cosa augura al settore per il futuro?
Facendo riferimento al settore edile in genere, io credo nell’evoluzione che sta vivendo. In un concetto di cantiere strutturato e organizzato, che prenda il posto di quelli improvvisati, dove l’artigianalità sia parte di un processo produttivo, non inventato, ma pensato.
Vorrei vedere sempre meno la mancanza di preparazione e l’idea del fare come si è sempre fatto, perché non è più quello il mondo in cui viviamo. Da quel mondo dobbiamo essere in grado di trarre il meglio dell’artigianalità, che è sempre più rara ma fondamentale, soprattutto in ambiti di dettaglio e complessi: un’artigianalità che, forse, deve essere inserita in un flusso operativo che guarda più all’industria che alla semplice gestione giornaliera.
Il mondo ceramico, in questo momento, è sfidato a fare coesistere le esigenze che vengono dalla progettazione, che chiedono customizzazione e resistenze meccaniche sempre più elevate, con quelle tecniche che, invece, guardano alla sostenibilità, all’incremento dell’uso di materie prime seconde, a sistemi di recupero di materiali e all’ottimizzazione di spessori, pesi e materie prime in genere. Sembra che queste esigenze si scontrino, ma in realtà devono trovare il modo di procedere affiancate, al fine di arrivare ad una ricerca che fornisca ogni giorno qualcosa di concreto in più da dire e offrire a questo mondo che sta cambiando.
© A cura di Claudia Patrone 2023